Carlo Alfano, la figura diventa concettuale

corriere del mezzogiorno / 15 aprile 2016


In esposizione da Trisorio un ciclo di opere degli anni Ottanta

La figura di Carlo Alfano riveste tratto del tutto originali, per certi versi unici, all’interno del panorama artistico napoletano del secondo dopoguerra. Perché al pittore scomparso a 58 anni nel 1990 è toccato quel ruolo di cesura fra la tradizione figurativa, costruita con estrema sapienza (anche anatomica) a partire dagli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Napoli, e l’universo concettuale, radicalmente antiaccademico, coagulatosi fra anni ’60 e ’90 intorno ad alcune decisive gallerie napoletane. Fra queste sicuramente quella di Pasquale Trisorio, che di Alfano fu amico e mentore, e la cui eredità culturale è passata da anni alla figlia Laura, che a partire da stasera alle 19 ospita una importante personale nelle sale di Riviera di Chiaia 215. Un ritorno quello della famiglia Trisorio alla sua opera, a cui era stata dedicata una grande retrospettiva a Castel dell’Ovo nel 2001, organizzata in collaborazione con l’Archivio Alfano.

Il ciclo attuale, visitabile fino al 3 giugno, si ricollega all’ultimo decennio di attività dell’artista napoletano, che va dal 1980 al 1990 e ha un titolo, «La pienezza dell’assenza», di grande forza evocativa, e fortemente emblematico di quella commistione fra un disegno di matrice seicentesca e caravaggesca e il suo calarsi nell’indefinizione di una coscienza colta nel vuoto di un’oscurità astratta. «Per me si tratta – dichiarava Alfano in un’intervista ad Angelo Trimarco pubblicata nel catalogo della mostra a Castel dell’Ovo – di non smettere di interrogare quella rete di rapporti che designa la rappresentazione per dimostrare, infine, come sia impossibile. Il mio lavoro tende a riflettere su questa impossibilità». La cui tensione è pienamente percepibile nelle cinque grandi opere, divise fra il tema del doppio e quello della contemplazione speculare inquadrata in una temporalità illimitata. Come dimostra, per esempio «Eco-Discesa n.2» del 1981, in cui un corpo umano fa da diagonale fratturata (e ricomposta da fili esili e fitti) al quadro dominato dal buio del fondale. Un senso dell’oscuro, se non proprio del nero, che domina in tutta questa fase del lavoro di Alfano e che testimonia la profondità di un viaggio interiore immerso negli abissi di un interrogarsi filosofico e mitologico sull’esistenza umana. Come accade in fondo in tutto il ciclo delle «Figure», quella n.1 del 1984 in cui si evidenzia una scissione maschile-femminile che riporta al mito di Salmace, quella nera senza titolo del 1985 dove la frattura è orizzontale fra il sopra del corpo e il sotto delle gambe, e ancora con la Figura n. 9, in cui compare l’azzurro cupo del fondo, come del resto anche in Senza titolo (figura blu) del 1985, in cui la scissione è tutta maschile e quindi interna all’artista stesso. La mostra è completata poi da due studi, quello per Camera del 1988 e quello ancora mitologico, per Narciso del 1980, tema questo ricorrente in molti suoi dipinti, in particolare quelli legati al ciclo autogeno dell’Eco-Narciso.

Stefano De Stefano


 
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Carlo Alfano, viaggio negli abissi dell’animo umano

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Allo Studio Trisorio di Napoli le opere di Carlo Alfano