Super Fabre tra coralli e scarabei

il mattino / 27 marzo 2019


Quattro mostre a Napoli per il maestro belga: «Oro rosso» a Capodimonte, il Congo da Trisorio, al Madre tra le nuvole, al Pio Monte con la croce

Croci, teschi, spade, ma anche un autoritratto con una lunga lingua in fuori e rappresentazioni molto realistiche di cuori, con tanto di arterie ancora attaccate, che sembrano appena strappati da un petto squarciato. E poi il rosso del sangue di una serie di disegni, ma soprattutto il rosso brillante del corallo che l’artista ha scelto come materiale caratterizzante delle sue dieci nuove sculture, realizzate per l’occasione. C’è tutto l’immaginario di Jan Fabre in questa spettacolare mostra che si è presentata ieri mattina al museo di Capodimonte, e che si intitola appunto «Oro rosso»: il curatore Stefano Causa sottolinea quanto il maestro belga racconti una vicenda di «metamorfosi di materiali che mutano destinazione e funzione, una storia di sangue e umori corporali, inganni e trappole del senso», che lo mettono idealmente in collegamento con le nature morte dei grandi fiamminghi del passato di cui lui, Fabre, è senza dubbio un discendente molto diretto.
Insieme ai lavori in corallo e ai disegni, c'è anche una bella carrellata di altri oggetti e sculture: enormi scarabei dorati, minuscoli conigli in omaggio a Joseph Beuys, pappagallini, cervelli anatomici, tutti messi in dialogo con una evocativa selezione di opere della collezione permanente del museo. «Abbiamo dato vita a una mostra di particolarissima spiritualità ed eleganza – afferma il padron di casa Sylvain Bellenger – Tra sangue pietrificato, lava incandescente, Vesuvio e San Gennaro, vengono affrontati tutti i grandi miti napoletani. Ci piace pensare che dagli accoppiamenti traumatici che abbiamo immaginato tra Fabre e alcuni capolavori di Capodimonte possa sortire un effetto di rinascita, che ci consenta anche di guardare il nostro museo in una luce nuova».
Anche creatore teatrale, regista, coreografo e performer, personalità tra le più interessanti del panorama dell'arte contemporanea mondiale, Fabre si sdoppia, anzi si fa letteralmente in quattro, portando la sua mostra anche in altri prestigiosi luoghi della città, a cominciare dal Pio Monte della Misericordia dove ingaggia un dialogo spirituale e morale con il luogo attraverso la sua scultura in cera «L'uomo che sorregge la croce». L'esposizione dell'opera non era stata pensata per essere raffrontata al massimo capolavoro di Caravaggio – che sarebbe dovuto andare a Capodimonte per la grande mostra che inaugurerà in aprile e che invece il veto del ministero tiene bloccato lì in via Tribunali – quindi si deve ancora decidere il se verrà rimossa per consentire una più libera visione delle «Sette opere di misericordia» per il periodo della rassegna caravaggesca.
Fabre torna anche al museo Madre che ospita in anteprima la versione in marmo di Carrara di «L'uomo che misura le nuvole» che, afferma il direttore Andrea Viliani, rappresenta «un invito alla libertà, a guardare in alto, ad andare oltre i nostri limiti. Dare conto dell'imponderabile, infatti, è il vero senso di fare cultura».
Un capitolo a parte merita quarta tappa di questa maratona d'arte, che trova il suo fulcro nella mostra allo Studio Trisorio «Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo» a cura di Melania Rossi e Laura Trisorio (entrambe responsabili anche della rassegna al Madre). Qui Fabre ha «dipinto» quadri di grandissime dimensioni utilizzando migliaia di corazze di scarabeo: sono veri e propri mosaici iridescenti, che cambiano colore col mutare della luce o del punto di osservazione, opere dalla forte capacità seduttiva che in qual che modo celebrano la crudeltà della bellezza e la bellezza della crudeltà. L'artista, prendendo a prestito le suggestioni infernali del «Giardino delle delizie» di Bosch, alza il velo sulle brutalità del colonialismo belga in Congo. «I temi sono più politici, riguardano lo scontro tra bene e male», spiega Laura Trisorio che aggiunge: «Il nostro compito è aiutare gli artisti a realizzare le loro visioni».

Alessandra Pacelli


 
Previous
Previous

L’oro rosso di Fabre tra alchimia e memoria

Next
Next

Jan Fabre si fa in quattro