Gregorio Botta, Breath In – Studio Trisorio

exibart / 26 novembre 2021


«La mia è un’arte del togliere, del poco, del meno, sperando di arrivare a un’arte del niente» spiega Botta. Poco si può spiegare della sua arte. Proprio come del senso profondo dell'esistenza

Inspirare ed espirare significa portare all’interno ciò che è fuori da noi e, successivamente, restituirlo al mondo arricchito. È proprio ciò che fanno, in fondo, gli artisti ed è ciò che fa soprattutto Gregorio Botta, a cui Studio Trisorio dedica una personale, in esposizione fino al 30 novembre 2021. La mostra – che si intitola “Breath In” e a cui è affiancato un capitolo speculare dal titolo “Breath Out” alla Galleria G7 di Bologna – è anche e soprattutto una riflessione sul concetto di spazio attraverso contrapposizione, accostamento e intersezione. La definizione dello spazio, la sua trasformazione, è metafora dell’esistenza umana.

A esprimere il pensiero in Botta è soprattutto il materiale: ai quattro impalpabili Respiri in alabastro, severi nella propria inflessibile fragilità, si contrappongo Angeli in cera che trovano forza nel loro essere estremamente duttili. Nell’opera L’acqua è insegnata dalla sete, Gregorio Botta sembra voler dar forma alle parole di Fernando Pessoa, «Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente» (“Una sola moltitudine”, Adelphi, 1979, traduzione di Antonio Tabucchi). Come il poeta l’artista, nella finzione della rappresentazione, riesce a trasmettere il senso del dolore con la sua lastra in cera su cui, da piccoli fiori in terracotta, sgorga l’acqua.

Nel giocare con i materiali assecondandone le possibilità fisiche ed enfatizzandone le differenze, l’artista restituisce a chi si trova al cospetto delle sue creazioni la sensazione che, da un momento all’altro, tutto possa dissolversi sotto ai suoi stessi occhi. Questo accade con Noli me tangere I e in Noli me tangere II, opere in carta velina, bamboo, foglie e sangue; e con Hölderlin Paradise, sette cerchi di vetro sospesi l’uno sull’altro, su cui si posano fiori di terracotta.

«La mia è un’arte del togliere, del poco, del meno, sperando di arrivare a un’arte del niente. Un’arte che sparisca e lasci solo, come una vibrazione, come un motore segreto, l’azione per la quale è nata», spiega Botta in “Machina”, catalogo della mostra al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro, a cura di Ludovico Pratesi. Poco si può spiegare dell’arte di Botta in realtà. Proprio come del senso profondo dell’esistenza.

Chiara Reale


 
Previous
Previous

L’espressione di Roselena è poetica e siciliana

Next
Next

Il mondo in una stanza. Gregorio Botta allo Studio Trisorio di Napoli