Oro, nuvole e misericordia

il giornale dell’arte / maggio 2019


Jan Fabre invade in quattro sedi la città

Napoli. La mostra «Jan Fabre. Oro rosso» attraversa e segna quattro significativi luoghi della cultura artistica antica e contemporanea a Napoli, alimentando un unico percorso che si forma e si costruisce attorno alle idee di mutamento, metamorfosi, materia e spiritualità. Il progetto, che scaturisce da una recente riflessione compiuta dall'artista belga (Anversa, 1958) sulle collezioni del museo di Capodimonte in occasione della personale «Jan Fabre. Naturalia e Mirabilia» realizzata nel 2017, prevede quattro diverse occasioni di approfondimento: al Museo e Real Bosco di Capodimonte, al Museo Madre, al Pio Monte della Misericordia e allo Studio Trisorio. Nelle sale del secondo piano di Capodimonte per «Oro Rosso. Sculture d'oro e corallo, disegni di sangue» (fino al 15 settembre), con la cura di Stefano Causa e Blandine Gwizdala, Fabre stabilisce un dialogo tra i suoi lavori, realizzati a partire dagli anni Settanta, le sculture in corallo rosso (oro rosso è l'antico nome del corallo) concepite per Capodimonte e i maestri italiani e fiamminghi, oltre a oggetti d'arte decorativa provenienti dalle raccolte del museo napoletano e «racconta, in una lingua non troppo diversa, una vicenda di metamorfosi incessanti; di materiali che mutano destinazione e funzione; una storia di sangue e umori corporali, inganni e trappole del senso; pietre preziose, coralli e scarabei, usciti a pioggia dai residuati di una tomba egizia, frammenti di armature, sequenze di numeri e citazioni dalle Scritture, dentro un universo centri fugo di segni», precisa Causa.
A cura di Andrea Viliani, Melania Rossi e Laura Trisorio, il cortile del Museo Madre ospita fino al 30 settembre un'inedita traduzione in marmo di Carrara della scultura «L'uomo che misura le nuvole» (2018), la cui versione in bronzo era stata allestita nel 2008 in occasione della mostra personale dell'artista in piazza del Plebiscito. Inoltre nel 2017, in concomitanza con la sala monografica dell'artista al Museo di Capodimonte, era stata sistemata sulla terrazza del Madre, nell'ambito del progetto «Per_formare una collezione», una versione in bronzo al silicio di «L'uomo che misura le nuvole (Versione americana, diciotto anni in più)» (1998-2016). II lavoro, che prende il titolo dall'affermazione pronunciata dall'ornitologo Robert Stroud, il quale, liberato dalla prigione di Alcatraz, dichiarò che si sarebbe dedicato solo a misurare le nuvole, è un omaggio a Emiel, fratello minore dell'artista scomparso a cinque anni. Tuttavia si tratta di un doppio ritratto: il volto, invecchiato, assomiglia infatti a quello dello stesso artista, il cui nome completo è Jan Emiel Constant. Nel tentativo, già in partenza destinato a fallire, di misurare, quindi di quantificare il mutevole e il fugace (le nuvole), Fabre compie una profonda riflessone sul significato della ricerca artistica: in questo lavoro l'artista «riesce a condensare il senso stesso dell'arte: misurare le nuvole, attività tecnicamente impossibile, è proprio ciò che la cultura deve fare, invitare a scoprire cose che non penseremmo di essere in grado di fare. Un invito alla libertà e alla visione», afferma Viliani. La scultura in cera di Jan Fabre «The man who bears the cross» del 2015, allestita nella Chiesa del Pio Monte della Misericordia fino al 30 settembre in dialogo con le «Sette opere di Misericordia» di Caravaggio, «è la celebrazione del dubbio, e con la sua collocazione all'interno del Pio Monte sembra aggiungere un'ottava Opera di Misericordia: confortare chi dubita», suggerisce la curatrice Melania Rossi. Nell'autoritratto, basato sui tratti somatici dello zio Jaak, in cui regge in equilibrio una croce di oltre due metri sul palmo della mano, dunque, Fabre, come prima di lui Caravaggio, racconta del proprio tempo: «L'artista esce da sé stesso e diviene qualunque uomo, lo specchio di ognuno di noi».
Una selezione di opere realizzate completamente con gusci di scarabei iridescenti (marchio di fabbrica di Jan Fabre, che rivendica la discendenza dall'omonimo entomologo) sono allestiti, infine, fino al 30 settembre allo Studio Trisorio (cfr. articolo a fianco) con la mostra «Tribute to Hieronymus Bosch in Congo (Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo), a cura di Melania Rossi e Laura Trisorio. L'opera di Fabre indaga la vita umana e le sue sfumature, mescolando contaminazioni sensoriali e spirituali, filosofiche e termo scientifiche a costanti riferimenti alla tradizione fiamminga (Bosch, Van Eyck, Brueghel) ripensati attraverso la sensibilità contemporanea e mediante una pratica narrativa debitrice delle frequentazioni dell'artista con il teatro, la danza, la musica e la della performance.

Olga Scotto di Vettimo


 
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