Studio Trisorio, la grande bellezza sedotta dal corallo

il mattino / 2 dicembre 2022


Domani l'inaugurazione della mostra «Naturalis historia» nella sede di via Carlo Poerio 116

Grazie a quella straordinaria capacità dell'arte di far trasmigrare poetiche visive da un materiale all'altro, mettendo sullo stesso piano la leggerezza di una foglia e il peso di una sbarra di ferro, o affidando i messaggi creativi più alti a una cartolina o a una lastra di alabastro, si può addirittura pensare di fondere organismi vitali con metalli inanimati, innestando la bellezza creata della natura direttamente in quella realizzata dall'uomo. L'artista più che mai veste i panni del demiurgo e dà vita a ibridi di grande potenza seduttiva: mischiando le carte tra vero e falso riproduce rami d'albero che sembrano pronti a gemmare, utilizza animali marini per rappresentare la lava vulcanica, dà movimento a creature morte che mimano corteggiamenti amorosi. È assecondando queste pratiche creative che lo Studio Trisorio ha riunito in un'unica mostra le opere di sette artisti, diversi per provenienza e generazione ma accomunati da uno stesso spirito particolarmente poetico - Marisa Albanese, Francesco Arena, Gregorio Botta, Elisabetta Di Maggio, Jan Fabre, Rebecca Horn, Alessandro Piangiamore - nella mostra intitolata «Naturalis historia» che inaugura domani nella sede di via Carlo Poerio 116, spazio più piccolo che per questo rende più intima la relazione che si instaura tra i singoli lavori. Il corallo è il fil rouge (è il caso di dirlo) di una rassegna che indaga la metamorfosi e le associazioni visive, creando paradossi, piccoli cortocircuiti materici ed estatiche composizioni, diventando il protagonista assoluto della narrazione lirica che si sprigiona da ogni opera. Il corallo rosso fiorisce da un ramo di bronzo di Marisa Albanese, artista di cui rimpiangiamo la potenza del gesto creativo sempre unita a una gentilezza d'animo radiosa e feconda: il suo segno si riflette anche nelle ombre sul muro riflesse dal ramo, parte integrante dell'opera stessa, come a voler raddoppiare il soggetto, rendendolo una foresta affatata generatrice di stupore e bellezza. Rebecca Horn affida due rami di corallo ai suoi consueti congegni meccanici per muoverli lentamente in una danza armoniosa, con un effetto visivo come sempre sorprendente. Gregorio Botta incastona in lastre di alabastro piccoli pezzi di corallo che affiorano come fossili, oppure appaiono come delicate ferite aperte in un corpo vivo, palpitante. Il tempo della natura e quello della cultura si incrociano precisi nell'opera di Francesco Arena, che pone un pezzo di corallo a spezzare la perfetta geometria di un metro quadrato di ferro. Di Jan Fabre è in mostra un pugnale totalmente rivestito di minuscoli corni, petali e roselline di corallo rosso lucidissimo, come se l'arma fosse insanguinata eppure portatrice di bellezza. Elisabetta Di Maggio usa il bisturi per cesellare la trama delle foglie, che poi posiziona in precario equilibrio su un corallo bianco. Alessandro Piangiamore crea un'inedita comunanza tra l'eruzione del Vesuvio in antiche cartoline e rami di corallo dagli insoliti riflessi sulfurei. Nell'insieme la mostra asseconda una narrazione onirica: l'atmosfera è infatti da sogno, delicata e giocosa allo stesso tempo, forse ispirata da quei trattati medici e astrologici del passato che conferivano al corallo, nella sua doppia natura animale-minerale, un potere taumaturgico e magico.

Alessandra Pacelli


 
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