Arena e l’opera d’arte messa nell’angolo

corriere del mezzogiorno / 18 febbraio 2021


Nel suo percorso fra evidenze concettuali, disambiguazioni semantiche, misurazioni spazio-temporali e relazioni sospese fra storia collettiva e personale, Francesco Arena approda allo Studio Trisorio con «Otto angoli». Una mostra che non conosce pareti, quella del quarantatreenne artista brindisino, che sarà inaugurata domani, con visite scaglionate dalle 16 alle 21. Stavolta l’obiettivo è la bivalenza fra angolo e spigolo, fra convesso e concavo, in cui spesso – come dimostrano gli otto lavori esposti (ma anche i due collocati nella direzione della galleria) – è il vuoto a rendersi centro dell’opera. Un vuoto «estorto» agli oggetti che lo creano e che assume anche forme rigorosamente geometriche come nel caso di «Cubo», ovvero uno spazio che ne ricalca la forma, ricavata da una serie di lastre di marmo appoggiate all’incrocio fra due muri. «Per la mia seconda personale da Trisorio – spiega Arena – ho pensato a una mostra che raggruppa otto opere, di cui sei inedite, tutte installate in un angolo. Perché il muro con la sua definizione è come una scultura, mentre gli angoli ci riportano all’architettura, all’inizio di una costruzione, all’idea stessa di un rifugio. In fondo si tratta solo di tre linee, in cui le due arti collassano per dar vita a una terza espressione che le comprende entrambe». Un pensiero che però non esclude il contributo decisivo dei materiali. Come accade con la «L» rovesciata come un grande Gamma in rame lucido, con su l’iscrizione «Nous nous en Souviendrons de cette planéte» di Villier de l’Isle-Adam, poi ripresa da Leonardo Sciascia per il suo epitaffio (Ce ne ricorderemo di questo pianeta). Nella stessa sala c’è poi l’opera più “invasiva”, «Endless, Nameless», un senza fine e senza nome, che cita un brano dei Nirvana, testimoniato da un lungo nastro di bobina che attraversa un angolo di tubi innocenti, per poi spandersi liberamente a terra. Mentre nell’angolo opposto c’è una vasca zincata colma di olio esausto nero e lucido, materia densa e ambigua la cui forma imposta dal contenitore diventa il centro focale dell’opera. Più sottilmente concettuale, invece, la collocazione ad angoli opposti di due libri di Marc Chadourne trovati in Francia, «Extrême Occident» ed «Extrême Orient», in cui il gioco sta proprio nel posizionarli nei punti più ad ovest e a est della galleria, mentre a terra, compressa in un angolo da un pesante parallelepipedo in bronzo, c’è «Fiore curva», una rosa che sembra attraversare volume e materia. Infine l’opera mobile, con tre lastre specchiate come una sezione di cubo, che nella serata inaugurale verranno allargate, e quindi mutate, da un performer. Da segnalare poi «Spigolo», il piccolo bronzo sistemato nella direzione della galleria, che propone l’idea complementare dell’angolo, un’idea accidentale, rischiosa, imprevista, un “incidente” come il filosofo francese Lyotard definisce la figura e quindi il senso dell’arte contemporanea, ovvero «mostrare l’incomprensibile in quanto tale».

Stefano de Stefano


 
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