Il nuovo museo MAXXI L'Aquila è un gioiello barocco che rinasce con l’arte contemporanea

elle decor / 29 maggio 2021


O, per dirla con le parole di Dario Franceschini, “un esempio che dalle ferite può nascere la vita”

Sono davvero tante le storie che una città come L’Aquila racchiude nei suoi muri, in quelli duramente colpiti dal terremoto del 2009 come in quelli che hanno resistito. Quelli che sono stati ricostruiti grazie a un meticoloso lavoro di studio, ricomposizione e restauro sono andati invece a formare nuovi spazi che in qualche maniera riescono a risarcire perdite, a ricucire strappi, a sanare ferite indelebili, a rinforzare fragilità, persino ad accompagnare rinascite. Ne sono un esempio quelli di Palazzo Ardinghelli, il bel palazzo settecentesco progettato dall’architetto romano Francesco Fontana, sito nel cuore del centro storico del capoluogo abruzzese, a pochi passi dal Forte Spagnolo, dalla Fontana Luminosa e dal corso Vittorio Emanuele che in questi giorni, complice anche le alte temperature, sono più frequentati che mai.

Chissà cosa direbbe oggi quel banchiere fiorentino che diede il nome al palazzo – Andrea Ardinghelli – che arrivò a L’Aquila nella metà del Cinquecento per gestire gli interessi familiari fondati sul fiorente commercio di lana e zafferano ed esercitare il ruolo di esattore fiscale per i Medici – assistendo all’inattesa rinascita del suo palazzo e del nome della sua famiglia estinta da sempre e chissà come osserverebbe l’apprezzamento contemporaneo degli spazi fluidi e luminosi del barocco di ispirazione romana contaminati nelle nuove funzioni museali aperte alla creatività e al futuro. Sì, perché in quella che era la sua abitazione, da oggi c’è il Museo Maxxi L’Aquila, inaugurato il 28 maggio 2021, a undici anni esatti dall’inaugurazione di quello romano (28 maggio 2010) e aperto al pubblico dal 3 giugno prossimo.

Siamo andati a visitarlo in anteprima per vedere l’esito di quel un lungo processo di fusione e ridefinizione delle cellule edilizie originarie di cui restano evidenti tracce negli elementi architettonici e decorativi, recuperati e valorizzati anche nel restauro reso possibile, come ha ricordato Giovanna Melandri, “grazie alla Federazione Russa che ha contribuito al restauro con una donazione di 7,2 milioni di euro”. “Non è una sede distaccata del Maxxi Roma, ma un’altra sede” – ha tenuto a precisare il Presidente della Fondazione Maxxi – un museo con una funzione istituzionale che nasce dall’intuizione, nel 2014, del ministro della Cultura Dario Franceschini di portare un polo della contemporaneità in un gioiello del barocco italiano come questo, nel cuore di una città colpita dal sisma”. In mattinata, il ministro è arrivato molto presto per partecipare all’inaugurazione durante la quale ha ricordato che un museo come questo “è un esempio che dalle ferite può nascere la vita”.

A colpire il nostro sguardo, una volta arrivati in piazza Santa Maria Paganica che ospita anche l’omonima chiesa distrutta dal terremoto, è stata subito la facciata del museo, sobria e imponente, con i resti delle murature di almeno tre epoche diverse, il cui elemento più evidente è il portale gotico interamente visibile, completo dei cardini in pietra, riconducibile alle antiche abitazioni che occupavano l’isolato. Dentro, il museo si rivela per quello che veramente è: non una vetrina estranea alla città, alle forze sociali culturali e civili, ma un vero e proprio luogo d’incontro, di scambi e di collaborazioni, uno spazio aperto a tutti, a cominciare dagli aquilani e dagli abruzzesi che potranno visitarlo in anteprima in questi giorni e gratuitamente fino alla fine dell’anno.

Nel luminoso cortile troviamo l’installazione in legno combusto Senza Titolo dell’artista Nunzio che, con le sue assi curve sospese dal soffitto, guida lo sguardo dalla corte principale dove risuonano gli echi dell’installazione sonora di Liliana Moro, Fischio 3/2018 che ci guida verso il maestoso scalone borrominiano illuminato dal neon The Missing Poem is the Poem di Maurizio Nannucci, le prime opere di “Punto di Equilibrio. Pensiero spazio luce da Toyo Ito a Ettore Spalletti”, la mostra con cui si inaugura il nuovo museo Maxxi L'Aquila curata da Bartolomeo Pietromarchi e Margherita Guccione. Il neon color fucsia ben si relaziona con gli affreschi settecenteschi di Vincenzo Damini che sovrastano la scala accompagnandoci al piano nobile, con le sue 16 sale espositive ricche di opere site-specific della collezione Maxxi che spiccano negli ambienti storici. nel ballatoio ad anello che affaccia sulla corte, troviamo due opere di Maria Lai: Senza titolo, pagine di stoffa cucite con filo nero su un grande tessuto, della serie Lenzuoli e Il viaggiatore astrale, uno dei suoi celebri libri cuciti.

Nel primo dei due grandi saloni con i due camini monumentali arricchiti da preziosi stucchi, insieme a Mother di Maurizio Cattelan, Mimetico di Alighiero Boetti e Quadro di fili elettrici di Michelangelo Pistoletto, incontriamo La città sale di Elisabetta Benassi: una scultura di sale, elemento che l’artista definisce “deposito di memoria”. Ispirata a La città che sale di Umberto Boccioni, capolavoro futurista dedicato alla forza dinamica della città moderna, Benassi riflette sulla precarietà delle città nonostante la loro solida apparenza e sul rapporto tra passato e presente, tra storia e futuro. Per il salone successivo, invece, Alberto Garutti ha realizzato Accedere al presente, una lunga tela che scorre su cinque rulli in modo quasi impercettibile, rivelando lentamente i suoi colori, un’opera narrativa sul senso del tempo che, in forma astratta, suggestiva e inesorabile fluisce davanti ai nostri occhi. Nella stessa sala troviamo Achrome di Piero Manzoni e Wireless Fidelity di Luca Trevisani. Davvero suggestiva la Sala della Voliera dedicata a William Kentridge con una selezione di arazzi tra cui il celebre North Pole Map.

Proseguendo lungo il ballatoio, dove è allestita la pianta di Roma Interrotta (collage con le visionarie proposte di 12 architetti chiamati nel 1978 a pensare una nuova Roma) introdotta da una tavola di Aldo Rossi, si arriva alla prima di una serie di stanze incastonate l’una dentro l’altra che iniziano con quella dove è allestita l’abbagliante scultura luminosa Bent and Fused di Monica Bonvicini, e poi alla ex cappella del palazzo dedicata all’opera di Ettore Spalletti recentemente scomparso. Il linguaggio e lo stile del maestro abruzzese recentemente scomparso, si distinguono per la sua vicinanza all’arte cinetica, evidente nella sua propensione a creare, attraverso una peculiare ricerca cromatica, un legame tra lo spettatore e l’opera. Preferiva di solito il colore azzurro che è quello verso cui protende l’opera che ha realizzato proprio per il Maxxi (e che resterà esposta in modo permanente): La Colonna nel vuoto, L’Aquila. Posta al centro dello spazio, è espressione dell’intangibile legame tra mondo terreno e ultraterreno, simbolicamente rappresentato dal lanternino della cupola.

Continuando il percorso, c’è Come se, la scultura fatta di strati di carta sovrapposti di Daniela De Lorenzo e le foto del progetto Aquila di Stefano Cerio in cui indaga il rapporto tra realtà e finzione, concentrandosi sui paesaggi abruzzesi di Campo Felice, Campo Imperatore e Pescasseroli, in cui colloca dei parchi gioco gonfiabili. Poco distanti, ci sono i lavori di Iwan Baan, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Guido Guidi e un bel focus sulla montagna con il dittico di Walter Niedermeyer. Degno di nota, il progetto L’Aquila di Paolo Pellegrin, un grande polittico di 140 scatti in bianco e nero dedicati alla città e due fotografie a colori che ritraggono montagne e borghi fuori L’Aquila riprese in una notte di luna piena, immagini evocative che trascendono lo scorrere del tempo e rimandano al paesaggismo romantico ottocentesco e l’installazione sonora Live Ammunition! di Hassan Khan ci fa scendere alla Project Room al piano terra, dove c’è il video di Allora & Calzadilla The Great Silence.

“La città – scriveva Italo Calvino nelle sue Città Invisibili – non dice il suo passato, ma lo contiene” ed è forse questa l’immagine più profonda e realistica di quello che sta accadendo in questa sorta di cantiere diffuso che è L’Aquila tutta che costringe, chi la abita e la vive in primis, ad aprire giorno dopo giorno pagine sconosciute riscoprendo stratificazioni e apparati ricostruttivi e decorativi mai visti prima. È arrivato il momento di sfogliarle e rileggerle per apprezzarla al meglio assieme a questo palazzo, uno dei protagonisti della rinascita, “un prodotto della politica” – come l’ha definito Hou Hanru, Direttore Artistico della Fondazione Maxxi – questo è vero, ma che non va visto soltanto come risultato di attività istituzionali, ma come frutto di una necessità determinata dalla politica della cultura, indispensabile per la vita degli uomini nella società.

Giuseppe Fantasia


 
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