Palazzo d’Avalos. Da carcere a «galleria»

corriere del mezzogiorno / 26 maggio 2022


Da carcere a luogo per l’arte contemporanea. Un passaggio che segna con forza la rivitalizzazione di Palazzo d’Avalos a Procida. Con opere di grandi nomi internazionali come Maria Thereza Alves, Jan Fabre, William Kentridge, Alfredo Pirri, Francesco Arena ed Andrea Anastasio.
Notevole la differenza col passato, se pensiamo che negli anni ‘60 e ’70, prima che nel 1988 la sua funzione detentiva venisse del tutto abolita, le uniche mostre presentate all’interno del penitenziario procidano erano quelle dei prodotti artigianali realizzati dai detenuti – dagli oggetti in legno a quelli in ceramica fino alle tipiche tovaglie e asciugamani in canapa – poi messi in vendita ai visitatori.
A distanza di oltre 40 anni il palazzo fatto costruire sulla Terra Murata dai d’Avalos, governatori dell’isola fino al ‘700, dopo essere stato edificio signorile cinquecentesco, poi Palazzo Reale borbonico, scuola militare e infine dal 1830 bagno penale, torna quindi a una vocazione culturale.
Sarà un museo d’arte contemporanea, almeno fino a tutta la durata della manifestazione «Procida Capitale della Cultura Italiana» che terminerà il prossimo 31 dicembre. In attesa che questa destinazione d’uso possa in futuro stabilizzarsi, grazie anche alla concessione dell’immensa struttura (40 mila metri quadri al coperto e 20 mila all’esterno) dal ministero dei Beni Culturali e dal Demanio al Comune, che ad esempio ha già attivato grazie all’Associazione Palazzo d’Avalos la possibilità di effettuare sistematicamente visite guidate.
Per quanto riguarda la mostra «Sprigionarti» (l’inaugurazione a inviti è domani alle 11), il progetto curato da Agostino Riitano e Vincenzo De Bellis, in collaborazione con lo Studio Trisorio, la Galleria Lia Rumma e quella di Alfonso Artiaco, sotto il Matronato della fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, prevede il coinvolgimento di alcune di quelle celle, abitate per così tanti anni dai condannati, e della cappella a loro riservata. Diventeranno infatti sale personali dedicate all’esposizione di opere di grande suggestione, alcune delle quali «site-specific» o riadattate a quello spazio.
«Abbiamo chiesto a cinque grandi artisti di immaginare una prospettiva relazionale con l’ex colonia penale – spiega Riitano, curatore e direttore di Procida Capitale 2022 –, un luogo simbolo e testimonianza della storia dell’isola, per indagare un nuovo senso tra la dimensione antica della reclusione e dell’isolamento e la vocazione moderna di apertura e condivisione». Un’idea che aveva iniziato a prendere forma già nel 2017 con l’istallazione in situ di un’opera dello scultore Alfredo Pirri, oggi parte del quintetto degli artisti coinvolti. «L’idea è che un museo nel ventunesimo secolo debba essere rivolto a tutti – continua Riitano –, capace di offrire un’esperienza personale di crescita culturale, aperto alla diversità, radicato sul territorio e, allo stesso tempo, orientato verso il contesto nazionale e internazionale. E per di più in un luogo di isolamento, che si trasformerà così in un luogo di apertura, fisica e mentale». L’auspicio, infatti, è che lo stesso Comune si doti presto di una commissione di esperti in grado di programmare il futuro artistico del monumento aragonese. «In tal senso – sottolinea ancora il direttore di Procida Capitale – tutti gli artisti coinvolti si sono resi disponibili a prolungare la presenza delle proprie opere ben oltre il dicembre 2022. Un segnale che va nella prospettiva di costituire presto una vera e propria collezione». E allora eccole le opere che il pubblico potrà vedere da questo weekend, a ingresso libero e previa prenotazione all’associazione Palazzo D’Avalos.
Il primo spazio previsto dalla visita ospiterà un’opera dell’artista brasiliana Maria Thereza Alves, che qui espone «Mold Fresco: An archive of breathing» con diverse specie di muffe su un muro di un palazzo antico che interagiscono l’una con l’altra, crescendo in vari colori. Nel secondo spazio, l’ex cappella del carcere, prende forma l’opera di Jan Fabre, «The catacombs of the dead street dogs» (2009- 2017), già esposta a Venezia e San Pietroburgo, stavolta in dialogo inedito con la storia secolare del palazzo. Utilizzando vetro di Murano e scheletri di cani, l’artista fiammingo opera tra fragilità e resistenza, tra interno ed esterno, tra vita e morte. Il terzo spazio ospiterà una videoinstallazione di William Kentridge, artista sudafricano noto per i suoi disegni, i suoi film, le sue produzioni teatrali e liriche. L’opera è un estratto audiovisivo di «Zeno writing» (2002), ispirata al personaggio di Italo Svevo e sarà visibile attraverso le sbarre della cella, reinterpretando il concetto di prigionia e libertà. Nell’ultimo spazio, in fondo al corridoio, infine, c’è l’installazione di Alfredo Pirri («7.0», già presente come detto da alcuni anni) a cui si aggiungono l’opera di Andrea Anastasio e quella site specific di Francesco Arena. Il primo presenta un «Letto per i giorni e per le notti», una vecchia branda per carcerati sulla quale c’è una lastra di rame lunga quanto un materasso con incise delle frasi. In «Nine to five» Anastasio si riferisce invece alle 8 ore lavorative che scandiscono la quotidianità delle persone, qui restituita attraverso la replica di un lampadario seicentesco veneziano chiamato «Ca’ Rezzonico», associato a otto lunghe plafoniere a Led.

Stefano De Stefano


 
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